Le Pagelle di Sanremo!

Marco Mengoni – Credimi Ancora. Parliamoci chiaro: Marco Mengoni è uno dei più grandi talenti vocali degli ultimi vent’anni. E non solo in Italia. Ha voce, interpretazione, faccia, cuore, intelligenza, raffinatezza. Ha tutto. Nel corso di X Factor ha dimostrato di poter affrontare Bowie, i Talking Heads, Umberto Bindi e Mia Martini, con una disinvoltura sconvolgente. Marco Mengoni, quando canta, va dove vuole e pare che niente lo possa fermare. Plasma le note: ogni sera, al festival, ha cantato la stessa canzone sempre in modo diverso. Come faceva Sir Robert Plant. Si presenta al festival con una canzone che sta tra i Led Zeppelin e i Beatles, di lettura non immediata e, per questo, totalmente estranea al concetto musicale del Festival. Infrange praticamente tutte le regole non scritte del festival del volemmosebene. Ne esce vincente. La gente lo guarda come se fosse un alieno e lui, tremante, apre il cuore e gli dà voce. Se avrà la forza di non cedere alle lusinghe della musica fast food, se lascerà crescere il suo stile, se sarà sempre convinto delle sue idee, entrerà nella storia della canzone italiana. Per adesso, è semplicemente meraviglioso.
Voto 9. Ma anche 10

Valerio Scanu – Per Tutte Le Volte Che. A questo punto sarebbe troppo facile lanciare, nel mucchio, il sasso contro Valerio Scanu. Non ci sarebbe neppure da nascondere la mano. E sarebbe anche molto ingiusto, perché un musicista merita sempre rispetto. E allora, televoto sì, televoto no, Valerio Scanu ha comunque vinto il Festival, e un motivo ci sarà. A noi non resta che valutare la sua interpretazione di Per Tutte Le Volte Che, brano scritto dal talentuoso Pierdavide Carone, giovane virgulto del cantautorato made in Italy (per altro, vista la giovane età, bravissimo) e sinceramente non così deprecabile, come si legge in giro. Valerio Scanu, non ce ne voglia, ha ancora bisogno di crescere e di definire il suo timbro, ma in fondo ha un certo talento... Certo, la vittoria di Sanremo un po’ stride, ma musicalmente ha margini di miglioramento. Voto 7

Morgan – La Sera. L'esilio dal festival per i motivi a tutti ben noti forse è stata la sua fortuna, perché già m’immagino il pubblico dell’Ariston alle prese con La Sera. Qualcuno si sarebbe anche svegliato di soprassalto. Morgan sarebbe finito malissimo a Sanremo, altrochè. La Sera è una canzone straordinaria, come lo è una buona parte della produzione di Morgan. Ne La Sera, c’è tutto: inizia come un Modugno notturno, su un tappeto alla Syd Barret, si apre a uno scorcio di De Andrè quasi cantato da Tenco, si libera in un turbine psichedelico-romanzesco, con accenni di easy listening alla Bacharach. Insomma, Morgan è un musicista incredibile ma, più ancora, un narratore d’eccezione. Vi prego di notare il crescendo della canzone che parte dal buio della notte, con suoni chiusi e voci in sottofondo, per risolversi alla luce dell’alba, con suoni più chiari e una voce più squillante. Una meraviglia. Voto 10

Irene Grandi – La Cometa di Halley. Innegabile che Irene Grandi sia una grande interprete del rock italiano. Altrettanto innegabile che La Cometa Di Halley non sia certo il suo brano migliore. Godibile, di buona apertura, ma un po’ sottotono. Ci si poteva aspettare di più. Voto 6,5

Arisa - Malamorenò. La sua faccia stralunata, le sue mise improbabili, l’atteggiamento tra l’infantile e l’irriverente, l’aiutano moltissimo. Ma Arisa è molto di più. Sono solo canzonette? Non credo. Arisa ha l’innata capacità di andare a frugare nel bagaglio della nostra storia musicale (soprattutto in quella degli anni ’30) e tirare fuori sempre i vestiti migliori. Restituisce anima e dignità ad una musica della quale molti paiono vergognarsi e che invece è parte di noi. Promossa a pieni voti perché la sua leggerezza è vera, spontanea e non è immagine. E la sorregge nel difficile percorso del rinascimento della canzonetta italiana. Voto 7

Noemi – Per tutta la vita. La prima ondata di critiche ha dichiarato semi-fallimentare l’esperienza sanremese di Noemi. La colpa? Una canzone senza presa, che non è mai decollata. Domanda: ma doveva decollare? A freddo, Per tutta la vita di Noemi è un brano sottotraccia, che non cerca in alcun modo il refrain radiofonico: piuttosto, gioca con il buio e con il velluto. Da questo punto di vista, è uno splendido esempio di blues nero all’italiana. Noemi, ritengo, non sarà mai un’artista da milioni di copie a disco, ma avrà una lunga carriera, nobile e piena di soddisfazioni. Da questo punto di vista, ricorda molto da vicino la Mannoia. Un’artista a tutto tondo. Voto 7,5

Sonohora - Baby. Ho passato una decina d’anni della mia vita ad ascoltare rock americano (segnatamente, l’AOR, la corrente heavy rock melodica, che negli anni ’80 ha marchiato a fuoco le classifiche di vendita americane). Per questo, riconosco nei Sonohra quella scuola. Resta il fatto che Baby è l’esatto incrocio tra Too Much Love Will Kill You di Brian May, Brian Adams ed una canzone a caso presa dal repertorio di Desmond Child (autore dei grandi Hits di Cher, Bon Jovi, Celine Dion, lo stesso Adams, Michael Bolton ed un’altra milionata di band milionarie). Insomma, una canzone rock bella ma senza fantasia. Voto 6

Povia – La Verità. L’accusa principale mossa a Povia è la seguente: prendere ogni anno un tema scottante e usarlo come testo nazional popolare per fare successo. Bene. Applausi ai soloni. Ora, però, parliamo seriamente. Povia ha scritto una canzone di una delicatezza disarmante, affrontando un tema durissimo, faticoso, straziante, senza fare del populismo. Tutt’altro. Povia ha fatto esattamente l’opposto di quello che è stato il capo d’accusa nei suoi confronti. Povia ha dato voce a chi non c’è più, raccontando il suo punto di vista, esclusivamente e meravigliosamente familiare. Povia non ha dato giudizi. Ha dato parola a chi non poteva. La Verità non è stata e mai sarà una canzone presuntuosa, né un j’accuse politico, ma solo un inno contro l’arroganza dell’uomo che giudica. Ecco, chi ha un cuore ed una sensibilità, oggi si stringe in un abbraccio di ringraziamento a Povia e ai personaggi, che sul palco del festival, ha raccontato. Voto 8

Irene Fornaciari Feat. Nomadi – Il Mondo Piange. Forse ancora un po’ troppo dipendente da certe dinamiche musicali del padre (ma chi non lo sarebbe, avendo come padre uno dei migliori artisti italiani di sempre?), ma Irene Fornaciari ha dimostrato di avere in tasca una carriera pronta a consolidarsi. Lieve, molto elegante, ricorda un romanzo italiano degli anni ’50. Una lode all’amore, un inno alla vita, sussurrato in riva al mare. Forse il miglior arrangiamento musicale di tutto il festival. Voto 7.5

Simone Cristicchi – Meno Male. Sarà il prossimo tormentone radiofonico, la canzone ispirata da Travaglio (dal suo libro, La scomparsa dei Fatti) e lode all’incazzatura, così come l’ha definita Cristicchi. Cristicchi è incacchiato nero, e non è l’unico, tra l’altro, e affronta un tema sociale globale che meriterebbe ben altra disanima. Il tentativo funziona grazie anche alla credibilità artistica di Simone e alla sua convincente simpatia. Un unico appunto: il testo di Meno Male avrebbe potuto essere anche più cattivo. E incidere molto di più. Ma avrebbe sfiorato il concetto di punk di protesta, forse. Voto 7

Fabrizio Moro – Non è una canzone. Rock reggae per il rientro di Fabrizio, dopo un travagliato periodo personale. Purtroppo, serve ancora tempo e forza per poter ricostruire una carriera solida. Non è una canzone sembra scritta sulla scia delle canzoni di protesta, avvicinandosi ad una realtà molto in uso nel circuito dei CSOA e della musica rock indipendente italiana. Ma non ha molto smalto. Voto 5

Enrico Ruggeri – La notte delle fate. Rispetto per un artista che, tra l’altro, personalmente adoro, ma La Notte delle Fate non è certo una canzone che si fa ricordare nella storia artistica di Enrico Ruggeri. Forse troppo semplice o forse quest’anno c’erano canzoni nettamente superiori. Voto 5

Pupo, Emanuele Filiberto con il tenore Luca Canonici – Italia Amore Mio Diventerà un successo planetario, al pari di Amico è, di Baldan Bembo, de L’Italiano di Cotugno, o forse anche del Va' Pensiero. Sarà così. Non ne dubitiamo. Intanto ci godiamo il luogo comune fatto canzone, con tanto di mandolino in sottofondo, testo che sa tanto di Dio, Patria, Famiglia, Pizza e volemose bene e altri cotillon. Per non dire altro. La parte più interessante è la lampante citazione omaggiante a Somewhere, Over The Rainbow. Noblesse Oblige? Voto 4

Toto Cutugno - Aeroplani. Vale il discorso fatto per Enrico Ruggeri. E vale un abbraccio per il difficile periodo che Toto Cutugno sta attraversando e che, inevitabilmente, gli si legge sul volto e nella voce.
Voto 5

Nino D’Angelo con Maria Nazionale – Jammo Ja’. Bistrattato dalla critica e da certi “colleghi” (ci si chiede: come si può dichiarare di amare l’Italia e la sua cultura, sopra ogni cosa, e poi ammettere di non aver mai sentito una canzone di Nino D’Angelo?), Nino D’Angelo si presenta con una canzone in dialetto. Che eppur piace, e neppure poco. Tradizione popolare che non fa neppure l’occhiolino al pop. Cerca solo di ridare dignità alle radici della musica del popolo. Un’opera di grande dignità. Voto 7
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